Il ristorante di cucina contemporanea più chiacchierato del momento, un nuovo greco che deve allenarsi ancora un po’ sull’identità ma che ci ha deliziato, una tempurateca di nome e di fatto, un’inaspettata e costosa delusione, un cocktail bar particolare, un divertente sound bar con cucina internazionale, un bistrot dove non ci eravamo mai fermati per cena, una cucina alla brace molto orientata al vegetale, e un paio di enoteche, di cui una di ispirazione francese, con una selezione di formaggi spettacolare. A febbraio abbiamo provato tanti ristoranti a Milano, e di seguito trovate le nostre impressioni tra sorprese, aspettative disattese e grandi conferme.
10 ristoranti a Milano che abbiamo provato di recente
Isola Greca
ristorante greco |📍Porta Garibaldi
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La cucina greca ci piace e vi piace molto, come ha dimostrato il sondaggio sulle cucine internazionali che l’ha vista trionfare qualche mese fa su Instagram nel sondaggio insieme a Dietnam. Non potevamo quindi esimerci dal provare questo nuovo ristorante greco in Porta Garibaldi che ha preso il posto – lasciandoci un po’ tristi – di Sciatt a Porter.
I profili social di Isola Greca parlano di “Greek fine dining”: inizialmente sia un ambiente elegante e curato che un servizio presente e premuroso hanno confermato questo intento. Durante il nostro pranzo, però, abbiamo avuto l’impressione che il servizio si volesse posizionare su standard elevati pur senza soddisfarli appieno, risultando quindi un po’ artificioso e affettato. Benissimo i camerieri che versano le bevande e il guardaroba per i cappotti, meno bene invece che ci venga chiesto se è necessario il cambio delle posate tra una portata e l’altra (soprattutto se si passa dal pesce alla carne) o che le attese tra i piatti superino abbondantemente i 20 minuti. Inoltre, anche la premessa di “fine dining” non ci sembra completamente mantenuta vista la tipologia di offerta (i classicissimi della tradizione come moussakà, souvlaki, gyros) e la presentazione dei piatti tutto sommato risulta semplice e ordinaria.
Nonostante queste dovute precisazioni, da Isola Greca abbiamo mangiato veramente bene. Avremmo voluto tuffarci nelle deliziose salse tzatziki, kopanisti (con feta e peperoni piccanti) e melitzanosalata (con melanzane e aglio) che abbiamo preso come antipasto, a cui abbiamo aggiunto un peperone arrostito ripieno di salsa di tonno davvero fenomenale. Anche le portate principali – il souvlaki di vitello e il gyros di pollo – erano gustose e avremmo sicuramente preso altri piatti se le porzioni non fossero state così abbondanti. Alla fine, quello che ci è rimasto di Isola Greca è la voglia di tornare, anche perché i prezzi sono assolutamente corretti (circa 35 euro a testa, bevande escluse) e siamo curiosi di assaggiare altre specialità (come i dolma e la baklava) e di capire se i difetti che abbiamo riscontrato risulteranno superati dopo un maggior periodo di rodaggio.
Tempurateca
ristorante giapponese |📍Sempione
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In Piero dalla Francesca, negli ex spazi del coreano Soot, di cui proprio di questi tempi un anno fa vi raccontavamo la nostra esperienza deludente, ha aperto di recente un nuovo locale che, come si immagina facilmente dal nome con cui lo hanno battezzato – Tempurateca – è tutto incentrato sulla frittura ‘alla giapponese‘. A tenere le redini della cucina c’è uno chef (cinese) che ha lavorato 20 anni da Osaka, ristorante giapponese storico a Milano nonché uno dei nostri preferiti.
Il focus del menu è appunto sul tempura, con diversi mix come quello che abbiamo scelto noi o singoli ingredienti che si possono ordinare “alla carta”, per un totale di una ventina di tipologie di tempura diversi. Ci è piaciuto: croccante e leggero – per quanto possibile – proprio come dovrebbe essere. In carta si trovano anche diversi otsumami, stuzzichini giapponesi, tra cui potaro salada, melanzane marinate in salsa dashi, alghe mozuku (le nostre preferite) e carpacci di pesce. Fanno (bene) anche il ramen. Servizio cortese e prezzi giusti (con una trentina di euro si cena) completano il quadro. In conclusione, forse Tempurateca non ci ha fatto perdere la testa, ma troviamo sia comunque un indirizzo solido in una via di locali che non sono decisamente “il nostro”.
Abba
fine dining italiano |📍Certosa
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Abbiamo varcato le porte di Abba, ristorante a Milano aperto lo scorso agosto nel nuovo, chiacchieratissimo, Certosa District, con grandi aspettative. Tutto sembrava deporre a suo favore: una zona in pieno rilancio in cui sono arrivati diverse insegne di ristorazione molto interessanti (Lafa e June Collective su tutte); uno chef, Fabio Abbattista, che dopo anni all‘Albereta, punta a stupire facendo ‘da solo’; due menu, da 12 o da 10 portate, profondamente contaminati da influenze mediterranee (e pugliesi, regione da cui proviene il cuoco).
Ci indirizziamo verso il menu più ricco, un susseguirsi di piccole portate che spesso si esauriscono così velocemente da non permettere una valutazione sensata del piatto (per assurdo, invece, i dolci finali sono molto più numerosi e abbondanti). La tecnica è sicuramente notevole, e la cogliamo specialmente in piatti come la seppia coi carciofi, la “scaloppina” di patate e zucca e la mora romagnola alla brace, forse il piatto più convincente della serata. Ma a mancare durante tutto il percorso è stato, a nostro avviso, quella spinta (identitaria, di gusto, anche cromatica, volendo) in grado, col suo guizzo, di far ricordare un piatto oltre il momento.
L’atmosfera di Abba rispecchia quella clean e minimal tanto in voga ora, che a livello estetico può sicuramente risultare piacevole, ma che poi concretamente, specie se poco frequentata come durante la nostra visita, rischia di risultare fredda e asettica (e la mancanza della tovaglia, da un posto del genere, proprio non ce la si aspetterebbe). Così come algido ci è parso il servizio, scevro di sbavature ma anche di trasporto, sia da parte dello staff che dello chef stesso che, pur giungendo al tavolo molto frequentemente, suggerisce, più che un reale entusiasmo per prodotti e cotture, il desiderio di recitare al meglio un copione già scritto. Inaccettabile l’assenza di un sommelier e la conseguente impossibilità a essere guidati nella carta pur concisa dei vini.
Il prezzo è quello di un ristorante di alto livello, almeno nelle intenzioni: 110€ per le 12 portate e 90€ per le 10 (con la possibilità dell’accompagnamento di 3 o 5 calici rispettivamente a 40 e 70 euro), cui si aggiungono 5€ a persona di coperto (è la prima volta in cui vediamo inserire il coperto nel conto in presenza di un menu degustazione). Per quanto ci riguarda, ahinoi, non ne è valsa la pena.
Salmon Guru
cocktail bar |📍Cenisio
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Salmon Guru, un altro figlio dell’omonimo World’s 50 Best Bar madrileno, ha aperto anche a Milano, e non potevamo non andare a provarlo. La lista dei drink è lunga e articolata, e un po’ complicata da decifrare, tra scritte, spiegazioni e disegni, con varie proposte anche analcoliche. Noi abbiamo ordinato un Arrow, presentato in un grande bicchiere stravagante a forma di rana, con schiuma di cocco, pisco, succo di mela e limone, e sciroppo homemade al pepe rosa e foglie di alloro; poi, un Tónico Sprenger, con gin, ginger beer, cetriolo fresco e succo di limone, che da amanti dello zenzero abbiamo apprezzato molto. Per finire, un Free the Bunny, un cocktail alcol free a base di Jnpr gin, succo di carota alle cinque spezie cinesi e spuma al cocco e yuzu, molto buono.
Il servizio è stato cordiale: i bar tender, molto appassionati, sapranno consigliarvi al meglio sui drink che più fanno al caso vostro. I prezzi sono un po’ alti, ma fedeli al lavoro di ricerca e alla qualità dei drink (12€ per gli analcolici e dai 14€ a salire per gli altri). A dirla tutta per sorseggiare un cocktail preferiamo locali sospesi nel tempo, più romantici e tranquilli, ma nel complesso l’esperienza è stata positiva. Ambiente esotico, presentazioni divertenti, ingredienti particolari: questi sono certamente i tratti distintivi di Salmon Guru, il cocktail bar per una serata fuori dagli schemi e movimentata. Per qualche foto simpatica, vi suggeriamo un pit stop in bagno, al piano inferiore.
Sandì
cucina contemporanea |📍Città Studi
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I ristoranti di cui si comincia a parlare tanto (troppo?) online ci fanno sempre un po’ paura, perché molte volte poi ci andiamo e ne rimaniamo alquanto delusi. Ma non è il caso di Sandì, recente apertura in zona Città Studi, di cui abbiamo apprezzato letteralmente tutto: dall’ambiente – arredato con gusto e dotato addirittura di tovaglie, ormai un miraggio in città – al servizio, dal coraggio (di concentrarsi, almeno nella fase attuale, unicamente sul pranzo, ad eccezione del venerdì sera) agli ingredienti e agli accostamenti scelti, fino all’esecuzione dei piatti.
La formula è snella e focalizzata su una quindicina di piatti (con qualche aggiunta alla sera, mentre a pranzo è disponibile anche una conveniente formula da 2 o 3 portate rispettivamente a 22 e 25 euro) che attingono a ricette regionali, ma con un tocco personale in più e un dichiarato amore per la Francia. Nelle nostre due visite (una a pranzo, l’altra a cena) abbiamo potuto provare praticamente tutti i piatti, a partire dall’ostrica Mater di San Teodoro alla testina in cassetta con cavolo cappuccio e senape agrodolce, entrambi squisiti. La vera esplosione di sapori, però, è arrivata prima con la zuppa imperiale – fenomenale ricetta emiliano-romagnola, come la chef, qui proposta con il guizzo aggiuntivo dell’aringa affumicata, da non perdere – e la super appetitosa tarte di cipolle fondenti, servita con puntarelle; e poi con i due secondi, la verza ripiena di maiale e gamberi, bisque e yogurt di capra e il cordon bleu di lombata, servito con puré e fondo. Per chiudere in bellezza, una devastante panna cotta al miso e sobacha, che ancora ci sogniamo di notte.
Il servizio è gentile e finalmente ‘normale’, nella migliore accezione del termine, e il conto leggermente superiore alle aspettative, ma perfettamente allineato con l’esperienza e con l’offerta milanese (se ordinate alla carta, considerate 40/50 euro bere a parte per uscire sazi). Per noi, se non si fosse capito, questo indirizzo è un grande sì che ci riporta a quello che dovremmo fare sempre quando siamo a tavola: goderne.
Dexter
sound bar con cucina |📍 Isola
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Abbiamo provato anche Dexter, nuovo locale all’Isola che si inserisce nella scia molto in voga ora a Milano dei listening bar. Lo spazio è piccolo ma curato nei dettagli: le luci soffuse, i vinili in bella vista, i piccoli tavolinetti e il bancone a L creano un’atmosfera calda e accogliente, che fa venire voglia di perdersi in chiacchiere fino a tardi. Le proposte della cucina, così come quelle della drink list, hanno stuzzicato la nostra attenzione, con piattini e cocktail che abbracciano più culture – dalla spagnola alla peruviana, dalla messicana alla giapponese – per un melting pot, che a nostro parere, ha del potenziale.
Abbiamo ordinato una tempura di zucca e salvia con mayo al miso, croccante e sfiziosa, ma un po’ troppo unta per i nostri gusti; e una porzione di radicchio laccato con gorgonzola, salsa di melograno e noci, molto gustosa. Poi, un piattino di crudo di dentice con vinaigrette agli agrumi e Verjuice, fresco e bilanciato; e una tartare con tuorlo marinato alla soia e nocciole tostate, buona ma poco grintosa. Le materie prime sono di ottima qualità, ma alcuni equilibri di sapori, come quelli della terrina al cioccolato fondente con sale Maldon e tahina, necessitano ancora di essere rodati (e c’è tutto il tempo, vista la recentissima apertura del locale). Abbiamo poi accompagnato gli assaggi con ottimi drink – qualche giro di Margarita, Negroni Mezcal, Negroni sbagliato – e buona musica, e senza accorgercene l’aperitivo si è trasformato in una piacevole cena.
Servizio cordiale e prezzi in linea con la tipologia di posto (circa 30€ a testa per una bevuta e due piattini) hanno completato il quadro colorato di questo “piccolo posto dal cuore grande”, come amano definirlo i proprietari. Ve lo consigliamo per un aperitivo rinforzato o una cena soft in compagnia.
Fioraio Bianchi Caffè
Bistrot |📍 Brera
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Durante il nostro vagabondare alla ricerca dei migliori indirizzi da consigliarvi nella guida del quartiere di Brera, siamo ritornati dopo molti anni al Fioraio Bianchi Cafè, che avevamo frequentato per qualche colazione o aperitivo, senza mai fermarci a provarne la cucina. Molti di voi infatti saranno abituati a frequentare questo piccolo locale dai sentori un po’ parigini soprattutto per sorseggiare un (buon) drink o un cappuccino, ma per noi anche il menu della cena, che dalle ore 20 sostituisce quello dell’aperitivo, è stata una piacevolissima scoperta: la cucina attinge dalla tradizione italiana spaziando tra diverse regioni, ma con ingredienti selezionati e ben lavorati.
Noi abbiamo iniziato con una soddisfacente selezione di formaggi Genussbunker accompagnati da marmellata di fichi e pan brioche, per proseguire con il risotto alla barbabietola, gorgonzola “Carozzi” e noci, e concludere con delle croccanti e gustosissime costolette di agnello, impanate e servite con un’insalatina di carciofi e crema di melanzane. In generale abbiamo trovato un servizio disponibile e accorto, senza troppe gentilezze, ma neppure disattenzioni; dei piatti ben riusciti con porzioni abbondanti, senza voli pindarici in fatto di accostamenti, ma buoni e appetitosi. L’ambiente è intimo e accogliente, e si presta alla perfezione ad un’uscita con la vostra dolce metà o, come nel nostro caso, con amiche con cui intrattenersi a chiacchierare senza essere sovrastate dal caos di ahinoi troppi locali a Milano. Unica nota dolente: il prezzo sbilanciato verso l’alto (per uscire sazi, considerate di spendere 40/45 euro, bere escluso).
Zazie
enoteca |📍 Città Studi
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A proposito di vibes d’Oltralpe, Zazie – il cui nome si ispira alla celeberrima ragazzina nel metrò di Raymond Queneau, che dalla provincia approdava alla scoperta di Parigi – ha casa nel quartiere di Città Studi, dove ha aperto da quasi un annetto questa piccola enoteca di quartiere di chiara ispirazione francese, rinforzata dalle schiette intenzioni dell’insegna “bar à vin“.
E come nei migliori bar-a-vin francesi, qui la proposta gastronomica è pensata per accompagnare un buon calice di vino e, tolti alcuni panificati – tra cui i grissini salati piccanti di Edelweiss di cui non potrete mai più fare a meno – e piattini a base vegetale da condividere, è quasi esclusivamente incentrata sui formaggi, suddivisi tra bufala e capra, che Alberto, uno dei due soci del locale, saprà consigliarvi alla perfezione. E poi c’è Federica, che con il suo sorriso e la sua passione, vi guiderà nella carta dei vini, e vi accompagnerà in un bel viaggio tra Francia e Italia.
Alcuni si chiederanno se c’era bisogno di una nuova enoteca in città, e noi rispondiamo absolument oui, perché dei formaggi così buoni non li mangiavamo da tantissimo tempo, e l’atmosfera che si respira è amichevole e intima, con un servizio davvero premuroso e con tutti i dettagli, dall’arredamento all’architettura, che vi trasporteranno immediatamente nel Marais. In più, qui si organizzano spesso e volentieri concerti di jazz (e non solo), aperitivi in lingua francese e pranzi con degustazioni. Prezzo assolutamente coerente con il locale: noi, dividendo in tre persone una bottiglia e quattro piattini, abbiamo speso circa 25€ a testa.
Losko
cucina di brace |📍Porta Venezia
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Siamo stati a provare questo nuovo ristorante a Milano in Porta Venezia che offre un menu incentrato su un’ampissima selezione di vegetali e proposte di quinto quarto: dagli antipasti ai dolci, tutti i piatti vengono cotti alla brace con maestria e le materie prime vengono valorizzate in toto, senza scarti. Per iniziare, abbiamo ordinato una lattuga al bloody mary, tra consistenze tenere e croccanti, gradevole al morso; e ancora, un hummus di ceci con olio di menta, dal sentore affumicato molto persistente.
A seguire, una porzione di tortelloni con ripieno di presa iberica su fonduta di formaggio e riduzione di carne; e un piatto di trippa alla brace, che ci ha sorpresi per bontà e delicatezza. Non potevamo che concludere con un dolce di brace: ananas grigliata servita su latte di cocco, bourbon e olio al basilico. Torneremo sicuramente per provare le iconiche bombette, omaggio alle origini salentine dei proprietari, e i formaggi di capra alla brace.
Il file rouge tra le varie pietanze è stato senza dubbio il piacevole contrasto tra le consistenze degli ingredienti e l’essere completamente gluten free (ad eccezione del buonissimo pane – del panificio Tone – con cui abbiamo rigorosamente fatto la scarpetta).
L’ambiente è accogliente e il servizio è cordiale e amichevole; anche il prezzo è in linea con l’esperienza (circa 70€ in due con una bottiglia di Soave Doc 2023 Aretè da 27€). Ve lo consigliamo per un primo appuntamento, una serata tra amici o una cena in solitaria. Decisamente una new entry che si distingue dalle solite proposte che pullulano in città.
Celeste al mercato
enoteca |📍Isola
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Chiudiamo questa compilation di ristoranti a Milano con una nuova vineria all’interno del rinnovato Mercato rionale dell’Isola, in Piazzale Lagosta, dentro cui si alternano banchi di frutta e verdura, carne, pesce, insegne già note in città e, appunto, questa enoteca con mescita, aperta da una compagine di soci tra cui figura anche il sommelier Alessandro Perricone.
La proposta di Celeste al Mercato è focalizzata su etichette naturali e rifermentate, in gran parte europee e piemontesi, con qualche variazione sul tema con la quota ‘metodo classico’. Non manca qualche proposta per birra e cocktail, da ordinare autonomamente al banco e poi sorseggiare a uno dei tavolini in legno del mercato, caratterizzato da un’atmosfera molto informale rischiarata dalle ormai onnipresenti candele ‘colanti’ (e da un sistema di aerazione ahimè inesistente).
Celeste non serve cibo (fatta eccezione per qualche tarallino), ma si può scegliere qualche delizia dai banchi circostanti (ci sono Katsusanderia, per esempio, ma anche le epiche bombette del Mannarino, Salvaderi coi suoi taglieri di affettati e formaggi e una pescheria per panini e piatti di mare) e consumarlo direttamente al tavolo senza sovrapprezzo. Una buona idea per un pranzo o un aperitivo al volo nella cornice dei mercati rionali, che ci piace sempre tanto.
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