I posti del cuore di Marco Giarratana, aka Uomo Senza Tonno, a Milano

Di Caterina Zanzi

Chef a domicilio (o meglio, come ama definirsi lui stesso, “scièf a domicilio”) e collaboratore di diverse testate, Marco Giarratana è una delle penne che più mi piace nell’ambito food. Sul suo blog, Uomo Senza Tonno, scrive di cibo, ricette e ristoranti; per quest’ultima categoria, la sua rubrica “Guida Minchiòlin” è, a dispetto del nome, una delle mie rubriche preferite di sempre. In questa intervista, ci parla di Milano vista dal suo punto di vista e, soprattutto, di posti, buoni (ma anche meno buoni). Ecco tutti i suoi luoghi del cuore in città!

Marco Giarratana

Marco Giarratana | © Alessandro Vullo

Parliamo subito di sostanza: quali sono i ristoranti ‘di sempre’ che ti piacciono di più a Milano?
Premetto che il mio ristorante del cuore a Milano non l’ho ancora trovato, di rado torno più di una o due volte nello stesso locale ma solo perché voglio provarne di nuovi. Girando parecchio qualche nome che mi ha lasciato ottime impressioni ce l’ho: penso a Pescetto per la freschezza della materia prima, Manna per le intuizioni interessanti (e perché mi piacciono le personalità forti come quella di Matteo Fronduti), Porcobrado e Macelleria Popolare perché fanno alcuni dei migliori panini di carne in città, Bove’s per la fassona stratosferica, Trieste per le sue pizzette una tira l’altra: una sera ne ho mangiate cinque.

C’è invece qualche novità che ha aperto di recente e che ti ha impressionato?
Le nuove aperture tutte marketing e niente arrosto mi annoiano e ahimè per adesso sono la maggioranza, sembra che i ristoratori si copino loghi e concept nonché la comunicazione. Si bada troppo al contorno e poco a ciò che finisce nel piatto, che dovrebbe essere invece la preoccupazione principale di chiunque lavori col Cibo (e la maiuscola non la uso a caso). Mi è molto piaciuto un piccolo ristorante aperto da qualche mese in via Varanini, si chiama Mezzé, per alcune portate prevede anche delle mezze porzioni. I piatti non sono mai cervellotici e hanno un’anima, i sapori ben bilanciati e in armonia che strizzano l’occhio a diverse cucine regionali italiane. E poi il personale è molto cordiale, aspetto che conta tantissimo quando si va a mangiare fuori.

Giochiamo: un posto per la colazione, uno per pranzo, uno per la cena e uno per il dopocena.
Ahia. La colazione la faccio sempre a casa, ho il mio “menu fisso” (yogurt bianco con frutta fresca, spremuta d’arancia in autunno/inverno, fette biscottate con burro e confettura che spesso faccio in casa, qualche mandorla o noce, caffè) e non esco mai senza aver mangiato qualcosa anche perché sono molto regolare nei pasti, mangio 3 volte al giorno senza spuntini intermedi e mai oltre una certa ora la sera. Per pranzo farei un salto da Trattoria Sole o anche in Sarpi, Yuebinlou secondo me è un ottimo ristorante. Per una roba volante i panzerotti di via Spontini sono eccellenti. A cena dipende dal contesto, se con gli amici per fare comitiva andrei da Little Lamb o in qualche altro hot pot in cui ci si può cuocere il cibo insieme, altrimenti Il Vecchio Aratro o una trattoria milanese. Per il dopocena posti molto pop, tipo il Ghe Pensi Mi oppure in vineria, dato che di recente mi sono appassionato al mondo del vino: Escobrillo e Vertical o, se voglio alzare un po’ l’asticella, N’Ombra de Vin che ha una location veramente affascinante.

Un posto romantico: dove porti la persona che ti piace?
Se proprio mi piace da morire, la invito a casa mia e preparo io la cena. Per il locale molto dipende dai suoi gusti, il concetto di romantico è molto relativo ma non mi piacciono i locali impettiti in cui, per “coccolare” il cliente il servizio risulta invadente ed è tutto artefatto. Anche un’osteria alla buona sa essere romantica se c’è connessione tra i commensali, che è quello che conta.

Passiamo alle stroncature: quali sono i posti ‘flop’ per te?
Devo distinguere tra locali veramente scadenti e altri sopravvalutati che non meritano, secondo me, l’hype che gli ronza intorno. Ho avuto pessime esperienze, nel senso che ho mangiato malissimo e speso un’enormità a confronto della qualità, da B Restaurant, Bottega Sicula (non è Fud, ci tengo a precisarlo) e Lapa. Poi ci sono tanti ristoranti che godono di campagne di marketing bene impostate come Pescaria e Miscusi: il primo ha panini super pasticciati in cui il sapore del pesce viene soverchiato da una valanga di roba, il secondo, nonostante i prezzi contenuti, ha una qualità ordinaria e alcune preparazioni sono pure fatte male (mangiai una cacio e pepe salatissima e collosa). Posti nei quali riponevo grandi speranze e che invece mi hanno deluso sono Tokyo Grill (carissimo), Pastamadre (alcune portate, tipo dei ravioli di branzino quasi senza condimento, erano proprio errori di concetto), la Cucina dei Frigoriferi Milanesi (wannabe-gourmet con idee confuse). Mi aspettavo di più anche da Botanical Club (meglio andarci a bere) e Vietnam Mon Amour.

Il tuo mestiere di chef a domicilio fa sì che per te gli ingredienti siano una cosa seria: dove vai a fare la spesa?
Da diversi mesi faccio la spesa esclusivamente nei vari mercati rionali in giro per la città, sia per la mia dispensa personale che per la materia prima delle cene. Ho degli ambulanti di fiducia, alcuni li contatto anche telefonicamente per sapere cosa gli arriva in quel periodo. Ho bancarelle di riferimento per ogni cosa che mi serve: quella per le insalate, quella per gli ortaggi, il pescivendolo, il casaro, quella con funghi freschi e primizie particolari. So in che mercati trovare ognuno di questi nei vari giorni della settimana quindi “li seguo”. Ho dei criteri di selezione, più la merce sulle bancarelle è irregolare e dall’aspetto “naturale”, più mi convince. Poi sono uno che tocca, annusa, assaggia, faccio molte domande agli ambulanti, più cose so su ciò che compro, meglio è. Mi piace moltissimo fare la spesa al mercato, sarà forse perché quando ero bambino mia madre mi ci portava quasi tutti i giorni nella mia città natale, Caltanissetta. E poi, al netto delle fregature sempre in agguato, è un modo per tenere viva un’economia che rischia di sparire ingurgitata dalla dittatura della grande distribuzione e della standardizzazione dei prodotti. Credo fermamente che scegliere dove fare la spesa non abbia soltanto un valore gastronomico ma anche etico e politico.

Devi prendere una decisione importante: dove vai?
Esco a fare una passeggiata, camminare mi aiuta a riflettere. Non sono solito rivolgermi ad altri, prendo le decisioni in autonomia facendo una sorta di tara tra le sensazioni positive e negative che la situazione mi trasmette. Ho un paio di percorsi fissi e un luogo dove mi rifugio ogni tanto all’aperto ma li tengo segreti, sono una cosa intima.

Il tuo quartiere del cuore?
Sono legato a Porta Venezia perché è stato il primo in cui ho trovato casa e ci ho vissuto per cinque anni. Mi piace moltissimo Lambrate, sembra un piccolo sobborgo che vive di vita propria. Se dovessi però fare i soldi, cioè mai, mi piacerebbe vivere in zona Pagano/piazza Piemonte o in Brera. Miro in alto.

Il primo posto dove porti un tuo amico in visita?
Prima al Museo del Novecento, poi in Darsena ma di giorno, prima che venga invasa dalla movida, per ammirare lo scintillio della luce del sole sulla superficie dell’acqua che si muove pigra, in contrasto con la frenesia della città.

Un solo posto che la rappresenti al meglio: Milano per te è…?
Lo skyline di Porta Nuova, sta staccando il Duomo tra le icone rappresentative, simboleggia la spinta europeista e futurista della città.

Una giornata senza cibo: dove la passeresti?
Alla biblioteca della Pinacoteca di Brera, ci vado tutte le volte che riesco a ritagliarmi del tempo per studiare, spengo il telefono e mi isolo senza distrarmi. Quando torno a casa mi sento rigenerato come se fossi stato alle terme.

La gita fuori porta per ritemprarti: dove vai?
Sul lago di Como, sono riuscito a farlo solo una volta in un giorno in cui mi sono obbligato a non lavorare, dato che da quando sono freelance dedico tutto il mio tempo a ciò che faccio, a volte senza staccare. Ho portato un libro, un quaderno, una penna e una matita. Ho lasciato il telefono a casa, ho preso il treno, sono sceso a Como e sono andato sulla riva. In circa 6 ore ho letto mezzo libro e preso una caterva di appunti su riflessioni che sto adesso sviluppando in un testo che sto scrivendo nei ritagli di tempo. Quando stacco dalla routine la mia vena creativa si attiva immediatamente.

Sui social sei super attivo: cinque account ‘foodie’ che per te meritano di essere seguiti?
Sarò stronzo o fighetto, poco m’importa di ciò che pensano gli altri ma non sono molto attento alla scena food, troppo finta e improvvisata e piena di gente incompetente che ha come unica missione quella di alimentare il proprio narcisismo e guadagnare più soldi possibili senza impegnarsi più di tanto. Quelli bravi sono una sparuta minoranza. In giro anziché cultura alimentare vedo solo tag di aziende e ristoranti, marchetta dopo marchetta, selfie dopo selfie, una noia mortale. C’è troppa mediocrità mista a ipocrisia in giro, è principalmente per questo che bazzico sempre meno eventi e vernissage, non è la dimensione adatta a me. Per farla breve, mi informo di più leggendo i libri di ricette o saggi sull’alimentazione. Comunque sia, seguo con attenzione Renè Redzepi del Noma, uno dei pochi chef che non perde tempo a farsi i selfie e che parla, quando vuole, degli ingredienti che ha a portata di mano. Quando aprì il pop-up in Messico seguii avidamente ogni Stories in cui spiegava sapori e consistenze di alimenti mai visti. C’è il profilo di Munchies Italia, se non lo reputassi all’altezza non ci collaborerei. Poi c’è una ragazza, Jessica Cani, non è nel “giro ufficiale” – se mai ne esistesse uno – dei foodblogger ma è un’appassionata di cibo e vino e ha un bellissimo stile, descrive sempre ciò che posta, soprattutto i piatti tipici della sua regione, la Sardegna. Mi piace chi ha qualcosa da dire e che sia conscio del fatto che stare sui social ha anche un importante valore culturale. Però scusami, mi sa che a cinque non ci arrivo.

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