I posti del cuore di Daria Bignardi a Milano

Di Caterina Zanzi

Nella scrittura di questa intervista potrei risultare un po’, come dire, parziale. Daria Bignardi è stata per anni, ed è tuttora, un mio grande riferimento professionale: giornalista, autrice, conduttrice televisiva e radiofonica e scrittrice, Bignardi ha ideato programmi cult come Tempi Moderni e Le Invasioni Barbariche, di cui non mi perdevo una puntata, e ha cambiato pelle più volte, a proprio agio alla conduzione del primo Grande Fratello così come nel ruolo di autrice di romanzi contemporanei, da quello d’esordio – il mio preferito – Non vi lascerò orfani, sino al suo titolo più recente, Libri che mi hanno rovinato la vita.

Emiliana di nascita, trasferitasi in città poco più che ragazzina, Bignardi si può dire abbia Milano ormai nel suo dna: partendo dai primi passi mossi all’ombra della Madonnina, tra Mecenate e Porta Romana, fino al ‘suo’ quartiere ormai da tempo, Solari, e passando per l’impegno civile in carcere, i suoi posti del cuore, gli slanci di riconoscenza e le idiosincrasie, racconta a Conosco un posto il rapporto che la lega a doppio filo con la nostra città.

Daria Bignardi Intervista Conosco un posto
Un ritratto di Daria Bignardi | © Riccardo Piccirillo

Partirei con te dal quartiere che ci unisce – e che mi ha permesso, qualche volta, di scorgerti per strada oppure sul mitico tram 10, un tempo 29. Perché hai scelto Solari per vivere, cosa ti piace e ti tiene ‘lì’? 
Io ci vivo sul 10, se non vado in bicicletta. Ci vado in radio quando piove, cioè quasi mai, o a prendere la Rossa a Conciliazione o la Verde a Sant’Agostino. Il tram numero 10 è molto simpatico. 
Ho sempre vissuto in questa parte di Milano: due anni in Corso Vercelli, otto in Porta Genova, otto in via San Vittore e ora da quasi quindici in Solari. Sono capitata qui perché stavamo cercando casa, era nata la seconda figlia, e ne ho vista una coi soffitti alti che mi ricordava quella dei miei nonni, in campagna, e mi sono innamorata. Così ho pascolato entrambi i figli al Parco Solari: il primo andandoci da Porta Genova e la seconda da via Dezza. In Porta Genova stavo benissimo, è una zona più divertente di Solari che è molto tranquilla ma un po’ più noiosa. 

Ci sono altre zone di Milano a cui sei legata e altre invece che non apprezzi particolarmente? 
Ho abitato anche sei anni in piazza Gramsci ora che ci penso, e anche lì stavo benissimo. Paolo Sarpi non era ancora mondana come adesso e mi piaceva un sacco via Canonica, così allegra e familiare. Da quelle parti, sul Parco Sempione, c’è anche la Triennale, con quella bella libreria, e il Teatro dell’Arte. 
Ho vissuto soltanto due mesi in un’altra zona di Milano, molti anni fa: via Tiraboschi. In un monolocale di via Tiraboschi ebbi il mio primo attacco di panico (ne ho avuti solo quattro per fortuna) e da allora mi sento sempre un po’ a disagio da quelle parti. Ci vado solo per andare al Teatro Parenti o al Teatro Carcano. 
Invece quando sono arrivata a Milano, ventenne, abitavo con altri quattro ragazzi, tutti genovesi, in una traversa di via Mecenate e andavo al lavoro in via Torino col tram 24. Un giorno di gennaio ci fu una leggendaria nevicata e la città si fermò ma io andai a piedi da via Mecenate a via Torino camminando in mezzo metro di neve per sette chilometri. Ci misi più di un’ora e arrivai fradicia fino alle ginocchia, entusiasta della mia impresa, ma in redazione non c’era nessuno. 

Un altro aspetto che mi sembra ci accomuni è questa maledetta ansia: più volte hai dichiarato di averci fatto pace e di aver imparato a gestirla negli anni, ma è comunque una parola molto presente nei tuoi libri. C’è un posto a Milano in grado di lenire un po’ questo stato d’animo, tranquillizzare e investirti, invece, di un’energia positiva? 
Bè il Naviglio la mattina presto o in certi pomeriggi freddi dei giorni feriali mi piace sempre, e anche via Vigevano mi mette di buon umore: hai presente la vecchia pasticceria Fugazza di via Vigevano, gestita da Giampiero e sua madre? Anche Corso San Gottardo e via Meda mettono allegria, e la zona attorno alla Chiesa di San Cristoforo. Quando i figli erano piccoli oltre al Parco Solari andavamo spesso sul trenino del Parco Sempione e ai giochi di Porta Venezia: ora  ci vado soprattutto in autunno a salutare i Ginkgo Biloba quando diventano gialli. 

Vivi a Milano da ben 39 anni, quindi si può dire che tu ormai la conosca assai bene. Nei cambiamenti che hai avuto modo di osservare, come la giudichi? Com’è la Milano in cui hai scelto di trasferirti da ragazza e com’è quella in cui ti ritrovi a vivere ora? 
Milano era piuttosto diversa da ora nei primi anni Ottanta, gli anni degli yuppies: io che arrivavo dall’ “Emilia paranoica” dei CCCP mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Però Milano è stata generosa con me, ci sono sempre stata bene, ho lavorato, cresciuto due figli, e tutto ha più o meno funzionato. Milano è una città solidale, molto più di quanto sembri. 
Oggi mi sembra solo un po’ invecchiata. Noto in giro pochi bambini e tanti anziani. E tantissimi bar con gli happy hour  che da ragazza vedevo solo negli Stati Uniti e mi sembravano l’emblema del capitalismo. Piace anche a me bere l’aperitivo eh, ma mi sembra che tutto ruoti intorno a quello. Sarà perché esco meno io. Una volta bazzicavo qualche centro sociale: il Leoncavallo, il Conchetta, Macao. Ora no, ma mi mancano. 
Alla fine mi sa che il posto che ho frequentato più continuativamente in questi anni è stato il Carcere di San Vittore. Purtroppo è peggiorato anche quello, e non per via dei suoi direttori. Una volta era sia Istituto di Pena che Casa Circondariale, che vuol dire che ci stavano sia i detenuti con le pene definitive che quelli in attesa di giudizio. E in qualche modo i primi aiutavano gli ultimi arrivati. Ora ci sono dei raggi, quelli dove stanno i più giovani, messi proprio male, con tante persone che hanno problemi psichiatrici. L’anno scorso a San Vittore c’è stato il record dei suicidi, a pari demerito con la Casa Circondariale di Foggia. Ma è il sistema penitenziario che non funziona in Italia, non San Vittore. 

C’è un difetto che proprio non le perdoni?
Che non si senta mai il profumo della natura e che non ci sia il mare. E quasi mai il vento. E che i cieli con le nuvole siano  rari. Ho trovato geniale l’idea di Andrea Capaldi, non a caso napoletano, di fondare il centro sociale Mare Culturale Urbano. Ci ho fatto anche uno spettacolo, ma è un po’ lontano da casa mia, se no ci andrei più spesso. Mi piace anche la  Galleria Vistamare di via Spontini. 

Saper raccontare le città è senza ombra di dubbio un dono, e spesso Milano è citata nei tuoi romanzi. Quali sono gli autori e le autrici che secondo te eccellono in questo e che magari ti hanno ispirato anche nelle righe più ‘cittadine’ dei tuoi libri? 

Giorgio Bassani è Ferrara in ogni riga. E pensa che non la amava per niente, ma Ferrara è una città molto letteraria. L’incipit di Elio Vittorini di Conversazione in Sicilia è pura Milano, anche se lui veniva da Siracusa. Ha abitato tanti anni a Milano, è morto in via Gorizia mi pare. Dino Buzzati, bellunese cresciuto a Milano, che ha studiato al Parini, ha scritto libri più milanesi dei milanesi, basti pensare a Un amore. I miei romanzi più milanesi sono L’acustica perfetta, che ha come protagonista e voce narrante un professore d’orchestra, primo violoncello della Scala, di nome Arno, e Santa degli impossibili, che è ambientato proprio tra Solari e San Vittore. La protagonista si chiama Mila, non a caso, e a un certo punto dice “Milano mi somiglia. Va di fretta, sembra che non si affezioni a nessuno, ma non è così”. Anche in Oggi faccio azzurro c’è parecchio Carcere San Vittore: la protagonista frequenta il coro del reparto La Nave, che è al Terzo Raggio. 

Ma andiamo nello specifico, quattro locali per altrettanto quattro momenti della giornata: dove ti piace andare per colazione, pranzo, aperitivo e cena? 
Il caffè buono è alla Torrefazione di Corso Vercelli, ma preferisco un ginseng al baretto sotto la radio, il Caffè Sempione, per scambiare due chiacchiere coi baristi che sono simpaticissimi. A pranzo sono andata per anni al Fiore, in via Savona, ma il preferito è La Brisa, in via Brisa. Si sta bene anche alla Cascina Nascosta, al Parco Sempione, se riesci a trovarla, ma ormai l’ho capito. Per l’aperitivo resto in zona: o al Growler o da Bulloni. A cena non esco quasi mai, andare al ristorante la sera mi fa un po’ tristezza. Se proprio devo vado vicino a casa: all’Antica di via Montevideo, ai Binari, all’Hana, che è un ottimo giapponese in via Paolo Giovio. 

Hai un appuntamento romantico col tuo compagno: dove ti fa felice andare con lui, e in generale con la tua famiglia? 
Vado a periodi. Un periodo ero innamorata della Trattoria il Casottel. Poi di un ristorante che ora hanno chiuso, in via Vigevano, al Taglio. L’ultimo compleanno siamo andati al Ponte Rosso. Lo so sui locali non ti do molta soddisfazione vero? Il fatto è che per me è sì importante come si mangia ma soprattutto il clima che c’è, la simpatia e la gentilezza di chi ci lavora, quanto mi ci sento a mio agio, quindi finisco per andare sempre nei soliti posti.  

Il primo posto dove porteresti un tuo amico in visita?  
Con gli amici stranieri vado sul classico, tipo allo Spazio Niko Romito in piazza Duomo e poi gli propongo di salire sul tetto del Duomo dopo pranzo. Con quelli italiani dipende: l’ultima ospite l’ho portata in quella buonissima trattoria vegana in Felice Casati, La Colubrina, e poi a fare un giro  tra Villa Necchi, Pac e Palazzo Reale. Anche la Pinacoteca Ambrosiana mi piace sempre: il cesto di frutta di Caravaggio mi parla, anche se non ho ancora capito cosa mi dice. E naturalmente la Pinacoteca di Brera. Insomma sono un po’ old school

Mangiare bene i piatti della tua terra d’origine, l’Emilia, a Milano è possibile? 
Non lo so! Avrai capito che non sono tanto preparata sui locali. Ma fanno un’ottima pasta fresca al Pastificio Irma, in via Angelo Mauri. E per il brodo dei tortellini, a Natale, solo Macelleria Zan, in via Caravaggio. 

Se Milano fosse un “libro che ti ha rovinato la vita”, quale sarebbe? 
La vita agra di Luciano Bianciardi, ma in bene, per quanto possibile. 

Rimanendo in tema, quali sono le librerie che preferisci in città? 
La Libreria Gogol in via Savona, Verso in Ticinese, il Trittico in Via San Vittore ma anche la Hoepli e la Cortina. E La Feltrinelli in Stazione Centrale, la mia sala d’attesa preferita. 

E, da lettrice ‘forte’ quale sei, c’è un posto in cui ti piace leggere, sia all’aperto o in un locale, per esempio?
Sai che preferisco leggere sul mio divano? Invece mi piace scrivere, nei bar, ma d’estate e non a Milano. 

Vuoi leggere altre interviste? Vai qui!

CERCA NELLA MAPPA

Potrebbe interessarti anche

Lascia un commento