I posti del cuore di Michele Masneri a Milano

Di Caterina Zanzi

Tra le mie folgorazioni giornalistiche, e poi editoriali, Michele Masneri ha sicuramente un ruolo di spicco. Dopo essermi goduta i suoi articoli su IL del Sole 24 Ore e Rivista Studio (ora me li godo principalmente su Il Foglio, invece), ho letto d’un fiato il suo Steve Jobs non abita più qui, romanzo per me fenomenale – nonché divertentissimo – sulla California.

Nato a Brescia, un presente romano con diverse incursioni, lavorative e sentimentali, qui a Milano, Masneri riesce a guardare alla città con il giusto distacco e un’obiettività di questi tempi rara, ma sempre con un’ironia unica nel suo genere. Qui racconta a Conosco un posto il rapporto che lo lega a Milano, i suoi posti del cuore e tutto quello che gli piace (o non gli piace) in città.

Michele Masneri Intervista
Michele Masneri | © Massimo Sestini

Iniziamo con brio, dai. A giudicare da diversi tuoi articoli (cito, tra i molti, un delicatissimo “Contro Milano” pubblicato nel 2019 per Il Foglio, ma anche il tuo contributo per niente enfatico alla guida sulla città di Iperborea o una domanda, sempre per Il Foglio ma all’inizio di quest’anno: “Milano è diventato un brand di lusso che i milanesi non possono più permettersi?”), il tuo rapporto con la città non sembra idilliaco. Quali sono i suoi principali limiti che riscontri? 
Quando ho scritto il primo pezzo nel 2019 in cui mettevo in dubbio che Milano fosse la città più bella e inclusiva del mondo sembrava che avessi bestemmiato in chiesa. Oggi, invece, che è molto di moda criticarla, mi sento di difenderla. I limiti di Milano oggi sono le sue dimensioni: è troppo piccola per la funzione che si è scelta, quella di capitale moderna di un paese occidentale, dunque deve decidersi a fare il grande salto, inglobare altre realtà, diventando come la grande Londra, col vantaggio dei treni ad alta velocità che portano in mezz’ora nelle città vicine.

Credo che questo sia l’unico futuro possibile, anche perché altrimenti la città come sappiamo scoppia. Anche gli altri limiti sono un po’ collegati a questa sua dimensione, e nondimeno alla sua autoreferenzialità, data dall’eccesso di marketing e comunicazione. A Milano tutto è collegato, tutti si parlano addosso, è come se ci fosse un ufficio stampa in perenne lavoro sulla città, un perenne pubblicizzarla – al mondo ma anche a sé stessi – e questo meccanismo dopo un po’ crea un cortocircuito.

Sulla questione dei prezzi delle case, di cui si è discusso anche recentemente, cosa pensi?
Credo che ci sia un problema reale di alloggi (ma le case popolari dipendono dalla Regione, non dal Comune) e credo anche che non sia Milano il vero problema. Il problema è l’Italia, un paese dove si fa finta che guadagnare 1200 euro magari con metà stipendio in nero sia normale. Con quei soldi riesci a camparci a Benevento, con la casa di famiglia e il cibo che ti porta la mamma. A Milano, dove i prezzi delle case sono quasi da capitale europea, gli stipendi – parliamo soprattutto di professioni creative – rimangono però i 1200 di Benevento, e allora salta tutto. In Italia c’è un clamoroso problema di salari, che nessuno vuole affrontare.

Quando vieni in città cosa cerchi di evitare? 
I bar coi buttadentro di Corso Como, i ristoranti del centro per i pranzi di lavoro, con la cotoletta asfittica e i managerini dall’aria entusiasta. E poi i taxi, ma quello è facile, perché non se ne trovano. Rimane per me davvero un mistero come i sindaci di sinistra (non solo di Milano ma anche di Roma) non facciano una battaglia per liberalizzare il settore e introdurre servizi come Uber e Lyft come nei paesi civili. Tanto i tassisti, a sinistra, non votano comunque. 

Punti di forza, invece, secondo te ce ne sono, e se sì quali?

Tantissimi. Da abitante di Roma mi commuove il senso del decoro, i portinai che si lavano il marciapiede davanti al mattino. E poi lo spirito dei milanesi, la loro tigna. Pur con qualche esagerazione che sfocia nel macchiettismo, chi ha deciso di vivere a Milano ha stretto una specie di patto, ci sta per seguire un suo qualche sogno, o progetto, o ambizione, e il risultato è l’energia che circola. A volte tutto questo diventa un po’ ridicolo, sono tutti CEO presso se stessi, ma in generale è comunque meglio di una città come Roma dove tutti sembrano invece arresi a un destino ineluttabile, tutti occupati in una specie di recita della “città bellissima”, a fotografare i tramonti sulle rovine di duemila anni fa.

Una cosa che porteresti di Roma, la città in cui vivi, a Milano? 
Un po’ di verde, di cui a Milano sento la mancanza, e un po’ di sciatteria, che è il core business romano. Non tutto può essere brandizzato, non tutto va valorizzato e comunicato. Un po’ di sciatteria è democratica. 

E l’inverso, invece: cosa ti piacerebbe portare a Roma, da Milano? 
Come dicevo, un po’ di senso civico, e di entusiasmo. Anche di serietà. Non c’è bisogno di essere sempre simpatici. 

Quali sono i quartieri milanesi che apprezzi maggiormente? 
Quando sto a Milano sto a NoLo (non ridere), dove abita il mio fidanzato. Poi mi piace corso Magenta, dove avevo dei cugini ricchi che abitavano in via Ariosto nello stesso palazzo di Loredana Berté, e a noi parenti campagnoli di Brescia (dove sono cresciuto) ci sembrava Hollywood. Poi mi piace molto Sarpi, forse perché a Roma abito all’Esquilino, che è un po’ simile (ma molto più sgarrupato, perché siamo a Roma). E mi piace il Naviglio, soprattutto estremo, dove c’è ancora la nebbia.  

Passiamo in rassegna 4 locali per altrettanti 4 momenti della giornata: dove vai per colazione, pranzo, aperitivo e cena? 
Per la prima colazione vado da Cucchi se sono in zona. A pranzo da Fola se sono a NoLo, oppure prendo la metro della speranza, vado magari a (anzi scusa, “in”) Porta Venezia, da Casa Cipriani se paga qualcun altro, rigorosamente a piano terra, per vedere i ricchi. L’aperitivo non saprei proprio, non lo faccio.  A cena mi piacciono i vecchi ristoranti tipo La nuova Arena in piazza Lega Lombarda.

C’è un collega o una collega che secondo te sa raccontare Milano meglio di tutti?
Tu ovviamente!

Immagino che, facendo parte in qualche modo dell’”élite culturale” di questo Paese, ti capiti di frequentare luoghi di aggregazione con colleghi giornalisti o scrittori. Dove andate? 
Ah ah, ti ringrazio per l’élite. Io preferisco la definizione “fascia alta dei morti di fame”. In realtà sai che su questo Roma batte Milano di brutto? A Roma stanno tutti sotto casa mia, all’Esquilino, a Casa Dante. A Roma c’è una densità di scrittori/giornalista per metroquadro che Milano se la sogna. Comunque, forse direi le presentazioni da Verso, oppure certe cene a casa di Piero Maranghi in zona Santa Maria delle Grazie.

Ci sono altri luoghi legati alla cultura in città – musei, gallerie o teatri – che ti piace frequentare? 
Per prima la casa museo di Achille Castiglioni in piazza Castello, posto meraviglioso per passeggiare nello studio di uno dei grandi maestri del design italiano. Tra l’altro credo che siano sotto sfratto, sarebbe veramente uno scandalo se questo succedesse, Milano deve assolutamente impedirlo. Poi mi piace sempre la Triennale. E un museo dal fascino vecchiotto come quello della Scala. 

Il primo posto dove porteresti un tuo amico in visita? 
Al ristorante della Fondazione Prada, non perché sia il mio posto preferito ma perché secondo me dà un’idea abbastanza precisa della città oggi. 

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