I posti del cuore di Marco Missiroli a Milano

Di Caterina Zanzi

Se nel 2015, mentre leggevo Atti osceni in luogo privato, mi avessero detto che un giorno di gennaio 2023 avrei intervistato Marco Missiroli, mi sarei messa a ridere. In quell’anno, quel libro è stato per me il libro, l’ho sottolineato, regalato e ho costretto a leggerlo più o meno chiunque. Poi, ho iniziato a seguirlo sui social, lui ha ricambiato, e addirittura una volta l’ho incontrato in fila per rinnovare il certificato elettorale.

Missiroli, classe 1981 con cui condivido il sangue romagnolo e il segno dell’Acquario, è uno dei nomi di punta dell’industria libraria italiana degli ultimi anni, e da Atti osceni in luogo privato ha pubblicato altri due libri: Fedeltà e Avere tutto. Arrivato a Milano nel 2005, ha girato la città in lungo e in largo sul suo fedele motorino, abitando prima a Loreto, poi in Porta Romana e infine in via Eustachi.

Oggi racconta a Conosco un posto il suo rapporto, da innamorato, con Milano, i suoi posti del cuore, ma anche i progetti futuri – con uno spoiler anche parecchio importante – e un desiderio condiviso.

Marco Missiroli | © Mattia Zoppellaro



Dai, leviamoci dall’imbarazzo subito: durante la presentazione del tuo ultimo romanzo hai detto che Wagner e De Angeli non ti piacciono. Casualmente, è proprio la zona dove abito io. Che ti ha fatto di male questo quartiere? 
(ride). Nulla di personale, o anzi tutto di personale: anni fa, appena arrivato da Rimini e con pochissimi amici, mi lasciai con la mia fidanzata del tempo. Con lei vivevo a Loreto, e per provare a staccarmi cercai la mia nuova casa dalla parte opposta esatta di Milano, tra Wagner e Buonarroti. Provavo una solitudine assoluta, che mi stava mangiando, e questa ricerca era al contempo molto dolorosa. Questo è il motivo: comunque, mi capita di tornare in zona per andare alla Feltrinelli di Piazza Piemonte oppure al tennis lì vicino.

Ci sono altri quartieri che ‘non ti arrivano’ o che invece, al contrario ti piacciono molto? 
Nella prima categoria metterei Isola e Citylife. Isola, pur essendo iper milanese, mi sembra anche molto poco milanese: mi ricorda, almeno negli intenti, i tempi universitari di Bologna, l’allegria a tutti i costi. Ma Milano-la-grassa non ce la vedo, mi sembra forzata, paradossalmente è come se mi mettesse tristezza addosso. Citylife invece mi trasmette un sentimento di grande freddezza. Tutto il resto invece mi piace: Porta Romana – la lentezza, le chiese, la pizza che mangio lì -, Porta Venezia, un po’ per adozione, e poi Nolo, perché vengo da lì ancora prima che si chiamasse così.

In Fedeltà, i due protagonisti chiamano ‘malinteso’ il dubbio che ha incrinato il loro matrimonio. Pensi che, da riminese arrivato a Milano quando era già grande, la percezione che spesso si ha di Milano sia basata su qualche malinteso? 
Totalmente. Milano è costruita essa stessa su un malinteso fortissimo: che è una città grigia, fatta di palazzacci, di lavoro e di isolamento. Anche lo stereotipo della Milano da bere anni 80 resiste ancora, in qualche riverbero provinciale. Da esperienza, ti direi che servono almeno tre anni per rompere questo malinteso, all’inizio la solitudine milanese, è innegabile, c’è. Ma poi Milano pompa una energia sotterranea unica, e sa nasconderti: ti permette di avere segreti e di costruirne altri.

Se Rimini e Milano fossero due donne, come le definiresti? 
Rimini me la immagino come una signora allegra o una ragazza antica, dipende da che verso la prendi. Milano invece è una fidanzata per la vita, complessa, dolce e poi crudele: con lei ho una grande storia d’amore.

I tuoi libri hanno Milano dentro, Atti osceni e Fedeltà sono entrambi ambientati qui, e i protagonisti sembrano starci bene. Nella tua ultima fatica, Avere tutto, al protagonista invece sembra che Milano vada stretta. Questo cambiamento rispecchia in qualche modo anche il tuo sentire nei confronti della città oppure no? Hai bisogno di pause di riflessione?
No, sono completamente bigamo. A Rimini ci torno volentieri e, come il protagonista di Avere tutto, se ci dovessi tornare per forza ci tornerei. Ma Milano è la mia città: non sogno la pensione altrove, come dire, e la tipica quiete riminese non fa per me. Voglio l’avventura milanese che sa trasformarti col suo ribollire di opportunità e cose da fare.

Al di là delle polemiche di cui spesso è al centro, quali pensi siano i suoi limiti e invece quali i suoi punti di forza? 
Partiamo dal presupposto che non credo che chi vive a Milano sia costretto a farlo. Le discussioni sul tema con gli amici che si lamentano io le chiudo sempre in maniera un po’ tranchant: “Vattene, nessuno ti obbliga a restare”. Poi è ovvio, ci sono tante cose da migliorare: l’ambiente, in primis, ma ci stanno lavorando. La viabilità e le piste ciclabili, altro punto su cui c’è assai da fare. E poi, in assoluto, la questione abitativa: l’immobile è il vero problema. Le case costano troppo, in centro riescono a stare solo le persone ricche di famiglia, o chi è riuscito a ritagliarsi un trincea economica o chi fa sacrifici al millimetro. Milano ha una forza centrifuga che tende a sbatterti fuori per via di regole interne molto dure. Però, a livello di arte e cultura siamo straordinari, e poi c’è l’energia di cui ti parlavo e di cui non potrei mai fare a meno.

Nella tua descrizione di Milano sei sempre stato fedele, chirurgico. Come hai vissuto il pressappochismo della serie Netflix (Fedeltà, dall’omonimo libro di Missiroli, ndr) con cui la città era raccontata  – anche solo a livello visivo -, in maniera davvero sommaria e a tratti addirittura inesatta?
Le regole cinematografiche son quelle, il gioco di location è pazzesco e in qualche modo ci devi stare: il cinema fa dire una cosa e poi ti mette davanti un portone, banalmente, che non c’entra nulla. Ma non mi ha particolarmente infastidito: non ho mai voluto mettere mezza parola sulla trasposizione cinematografica di Fedeltà, anzi. Ho chiuso ogni occhio possibile, mi son messo sul divano e ho cercato di godermela come se non fosse stata ‘mia’, come se fosse un figlio che accompagni con gli occhi quando lascia casa. Fedeltà, poi, trovo che sia un libro ingirabile. Cosa diversa per Atti osceni e per Avere tutto. Entrambi, spoiler, diventeranno presto un film, e in entrambi ci metterò le mani.

Ti sei ispirato a qualche autore o autrice nello specifico per raccontare la città? Quali sono i tuoi riferimenti ‘geografici’ quando si parla di descrivere l’ambiente in cui si muovono i tuoi personaggi?
Sicuramente ho preso ispirazione da Dino Buzzati, la camminata che faceva lui da Porta Romana è al centro di diversi suoi romanzi tra cui Un amore, che adoro. Come metodologia, invece, mi ha molto aiutato Giorgio Fontana, mio amico fraterno. Da lui ho imparato che Milano non puoi raccontarla in maniera generica. Parli di una strada in particolare? Devi dirne il nome.

Ma andiamo nello specifico, iniziando dai bar. Hai detto di aver scritto Fedeltà al Refeel in Porta Romana. Non so perché ma non riesco a immaginarti lì. Lo hai scelto per prossimità o per altre ragioni? Ci sono altri bar in cui ti piace andare a bere qualcosa? 
Refeel è stato il mio ufficio, in pratica, per un sacco di anni, perché vivevo lì. Se devo scegliere un bar, però, ti dire il Circolo San Luis, dove vado a scrivere insieme agli anziani del circolo Arci, e poi il Dabass, dove si beve (e si sta) bene.

Va bene, dai, l’aperitivo e il dopocena ce li abbiamo. Passiamo in rassegna 3 locali per altrettanti 3 momenti della giornata: dove vai per colazione, pranzo e cena? 
Per la colazione, in settimana, scelgo Le Vert Bistrot in via Eustachi, un vero bistrot francese. Mentre nel weekend, con la famiglia, andiamo da Egalitè. Per pranzo ti farei i nomi de La Giara in viale Monza, Giordano il bolognese in Colonne, e Giannasi. Per cena, invece, opto per due sushi, Wicky’s, per le occasioni e Blue Nami, per tutti i giorni. E poi, l’italiano The Kitchen in via Scarlatti e la trattoria de la Trebbia, per la cotoletta.

Mangiare bene romagnolo a Milano è possibile?
Da quando hanno aperto La Esse Romagnola e Marè un po’ sì.

Nei tuoi romanzi c’è tanta vita sentimentale: dove vai a Milano per una rendez-vous romantico?
In casa. Milano ha delle case stupende. 

E quando invece cerchi un po’ di pace, magari per prendere una decisione importante?
Al Parco di Palestro oppure nelle Cinque Vie. Tra la Chiesa di San Maurizio, via San Vittore al Teatro e via San Maurilio c’è qualcosa di geologico e ancestrale che lo rende il punto più importante di Milano a livello spirituale in questo momento. Mi aiuta molto, quando ne ho bisogno.

Passiamo un momento alla Milano culturale: fai parte della nuova wave di romanzieri italiani, dunque immagino che ti capiterà di frequentare luoghi di aggregazione con qualcuno dei tuoi colleghi. Un tempo si andava al Jamaica, oggi dove va l’elite culturale milanese, ammesso che esista e che si incontri?
Ebbene no, non esistono salotti milanesi. A differenza di Roma, per esempio, qui si assiste all’isolamento e alla solitudine culturale. Ci si incontra nelle case, principalmente. Spero che questo possa cambiare presto, e in questo senso Tommaso Sacchi (Assessore alla cultura di Milano, ndr) sta provando a fare molto lavoro. Però, si sente comunque la mancanza di movimenti non istituzionali, più intimi, dal basso. Ci provano talvolta alcune librerie, come Gogol&Company o Verso, ma trovo sia una goccia nel mare. 

Ci sono altri luoghi legati alla cultura – musei, gallerie o teatri – che ti piace frequentare?
Il Museo del Novecento è un posto eccezionale, magnifico, anche solo per passeggiare. E poi la Triennale – forse ha un ambiente un po’ freddo, andrebbe riscoperta, ma ci arriveremo – e il Teatro Franco Parenti, epicentro culturale per eccellenza.

Il primo posto dove porteresti un tuo amico in visita?
Gli farei fare una passeggiata da corso di Porta Romana fino al Duomo, passando da San Calimero, e poi San Marco e Garibaldi, fino ad arrivare in Gae Aulenti.

A quale città, straniera o italiana, vorresti rubare qualcosa per Milano?
A Stoccolma ruberei il meraviglioso verde che la circonda da ogni parte, a Lisbona la decadenza artistica e ad Amsterdam l’attenzione per i ciclisti e le biciclette.

Ultimissima domanda: nel tuo ultimo libro si parla di questo benedetto milione di euro. Se domani lo avessi in tasca, cosa ne faresti? 
Ti rispondo solo se mi rispondi anche tu. (ok, ma inizia tu). Mi comprerei un buen retiro da qualche parte (noooo, mi hai rubato la risposta), un ultimo piano a Parigi nel decimo arrondissement (io forse una bella casa nell’entroterra marchigiano).

Oltre al sangue romagnolo, la passione per la scrittura, e al segno dell’Acquario, con Missiroli abbiamo scoperto un altro punto d’incontro: l’amore per le case. E per Milano, ça va sans dire.

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1 commento

Nina 26/01/2023 - 7:06 pm

Me che bella intervista, mi ha messo di buonumore!

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