I posti del cuore di Francesco Costa a Milano

Di Alice Caprotti

Giornalista e vicedirettore de Il Post, Francesco Costa è indubbiamente una delle voci più autorevoli del giornalismo italiano. Forse lo conoscete per “Da Costa a Costa”, un podcast e una newsletter che dal 2015 al 2017 hanno raccontato la politica statunitense e l’elezione di Trump e che gli hanno fatto vincere numerosi premi (noi ve lo avevamo consigliato qui!).

Nato a Catania, ma milanese d’adozione dal 2010, ha recentemente pubblicato un nuovo podcast “Milano, Europa” (anche questo lo trovate qui), in cui spiega come è cambiata la città negli ultimi 20 anni. In questa intervista, invece, racconta a Conosco Un Posto i suoi posti del cuore: dal suo quartiere preferito all’hamburger migliore della città, ma anche del futuro di Milano e dei suoi abitanti.

Francesco Costa
Francesco Costa

Partiamo dalla buona cucina: quali sono i tuoi ristoranti preferiti di Milano?
Mi piace molto sentirmi a casa e andare sul sicuro, quindi con i ristoranti sono un po’ abitudinario: insomma, le novità me le perdo quasi sempre (anche perché a Milano ormai sono tantissime, in linea con città come Londra o Parigi). Credo che il mio preferito in assoluto sia l’Osteria Conchetta: cucina tradizionale, si mangia benissimo, il servizio è amichevole e attento e c’è una bella atmosfera. Mi piaceva tanto anche Pisacco, ma ha chiuso; recentemente ho mangiato molto bene da Nebbia. Per il sushi J’S Hiro o Izu. Ah, e Casa Ramen, per forza!

Una cena romantica con la tua fidanzata: dove la porti?
Da Dou, anche perché la prima volta ha funzionato! Oppure al Porteño.

Il bar per iniziare bene la giornata prima di andare al Post è…
Inizio a lavorare già alle sette del mattino, quindi la colazione per me è un rito rigorosamente domestico (quando sono libero approfitto del forno di Anche, che fa delle brioche strepitose). Insomma, per me il bar non è tanto il posto in cui la giornata di lavoro inizia ma quello in cui finisce, davanti a un bicchiere di vino. Adoro la Bottiglieria Bulloni, un posto storico, tranquillo, perfetto per rilassarsi. Quando entro ho proprio la sensazione di scalare una marcia; la prima volta che dopo essermi seduto mi hanno chiesto “Il solito?” mi sono quasi commosso. Se ho voglia di stare all’aperto e in un contesto più vivace, invece, scelgo la Librosteria, il Circolo Combattenti e Reduci di via Volta oppure Otto: uno dei miei migliori amici è tra i soci, l’ho seguito durante tutta la fase che ha preceduto l’apertura del locale, è un posto in cui mi sento a casa (e quando è così pieno che non trovo posto, sono contento comunque per lui).

Il tuo quartiere del cuore?
Sicuramente l’Isola, quello che mi ha accolto quando sono arrivato nel 2010: è cambiato molto in questi nove anni, e io con lui. Da pochi mesi mi sono trasferito da un’altra parte, ma un giorno mi piacerebbe abitarci ancora.

Sei stato negli Stati Uniti diverse volte, per “Costa a Costa” ma non solo: non possiamo che chiederti, dove ti piace mangiare hamburger a Milano?
Al Mercato fanno l’hamburger più buono che io abbia mangiato a Milano in questi anni, con delle cipolle caramellate da sognarsi la notte: solo che i posti a sedere sono pochi e non prendono prenotazioni, quindi non è proprio accessibilissimo. Alternative: Denzel, Trita, Burger Wave (molto più informale). Tra i fast food credo che il migliore in città sia Burgez.

Vivi a Milano da molti anni, ma tu sei originario di Catania. Cosa ti manca di più della tua città d’origine e che vorresti ci fosse a Milano?
Le persone care, e il mare.

Il primo posto dove porti un tuo amico in visita?
Abitare per tanti anni all’Isola ha reso per me quel quartiere un po’ una destinazione naturale, in questi casi: si passeggia, si beve qualcosa, si chiacchiera e si parla dei fatti propri e di quello che ci sta intorno. L’Isola è piena di storie, è un posto in cui si intrecciano il passato e il presente di Milano: dalla Stecca alla casa in cui è nato Berlusconi, dalle case popolari ai grattacieli, dalle botteghe storiche ai locali che aprono e chiudono ogni settimana, dal Bosco Verticale fino al cavalcavia Bussa (perché ha una gran storia anche il cavalcavia: è l’inizio di uno stradone sopraelevato che sarebbe dovuto arrivare all’Arco della Pace, come viale Monte Ceneri; la costruzione fu interrotta grazie alla mobilitazione degli isolani e del loro prete di quartiere, don Eugenio Bussa, un grande uomo). Passeggiando in quel quartiere, per poi dirigersi verso la Biblioteca degli Alberi e piazza Gae Aulenti, si passa attraverso tante Milano diverse. E poi, lasciamo che siano i giapponesi a fiondarsi immediatamente in Duomo, no?

Quali sono le cose più interessanti o curiose che hai scoperto su Milano mentre preparavi le puntate del tuo reportage “Milano, Europa”?
Beh, intanto qualche dato. Milano ha un tasso di natalità superiore alle media delle città italiane, e ha allo stesso tempo un tasso di occupazione femminile altissimo, superiore a quello delle grandi capitali europee: insomma, si può ancora migliorare, ma quel punto di equilibrio non è una chimera, esiste, si può trovare. E poi c’è questa storia che non conoscevo, alla fine non sono riuscito nemmeno a metterla nel podcast, quindi sono felice di raccontarla a voi. Un giorno di giugno del 1989 era stato allestito un palco sulle sponde della Darsena, dovevano parlare il sindaco e il rappresentante dei commercianti dei Navigli nell’ambito di un’iniziativa per rilanciare la zona e iniziare quella trasformazione economica-industriale del quartiere oggi ormai compiuta. Alcuni attivisti dei centri sociali decisero di disturbare l’evento, e fin qui nulla di eclatante: se non fosse che lo fecero salendo su quattro canotti comprati al supermercato, travestiti da pirati, e raggiungendo il palco dall’acqua a colpi di pagaie di plastica, urlando: “All’arrembaggio!”. Quanto avrei voluto esserci.

Qual è il luogo che secondo te più rappresenta Milano?
So che qualcuno storcerà il naso – Brera! I Navigli! Il Duomo! Parco Sempione! – ma se devo scegliere un posto soltanto, credo che sia proprio piazza Gae Aulenti. Non ha dentro la storia ‘con la esse maiuscola’, naturalmente, e ci sono posti di Milano con molto più fascino; ma piazza Gae Aulenti ha dentro tantissimi mondi diversi e rappresentativi della città. Ci sono i turisti, ma non ci sono solo i turisti; ci sono gli uffici, le banche e gli impiegati in giacca e cravatta, ma non ci sono solo loro come in certe vie del centro; ci sono i bambini che giocano con l’acqua e le sciure con le borse dell’Esselunga; a due passi c’è la movida ma non c’è solo la movida; ci sono i negozi e ci sono gli adolescenti di origini latine con la musica ad alto volume; c’è il verde, c’è il vetro e c’è il cemento. Ed è nuova: anche questo mi sembra che oggi rappresenti Milano.

“Milano, Europa” dedica un’intera puntata alle periferie. Quale secondo te è la periferia che ci riserverà più sorprese nei prossimi anni?
Secondo me la zona subito a sud di Porta Romana. Lo scalo ferroviario diventerà il villaggio olimpico e poi una residenza per studenti, mentre a pochi passi sta nascendo il nuovo campus della Bocconi. Tradotto: una montagna di giovani in arrivo. Poi ci sono il distretto tecnologico di Symbiosis e la Fondazione Prada; e a due passi c’è il Corvetto multietnico dove le cose stanno lentamente migliorando. Può nascere una mescolanza davvero speciale. Anche Dergano ha grandi potenzialità, ma i lavori dello Scalo Farini richiederanno più tempo.

In “Milano, Europa” dici che Milano é adesso quello che 10 anni fa era Roma. C’è ancora qualcosa che Milano può imparare dalla capitale?
In anni come questi è difficile rispondere a questa domanda. A Roma non funzionano i servizi essenziali – gli autobus prendono fuoco, le stazioni della metropolitana restano chiuse per mesi, la spazzatura si accumula per strada, la corruzione è ubiqua – e quindi si fa fatica a star dietro Milano anche su tutto ciò che non è essenziale: persino l’offerta turistica a Roma mi sembra ferma a vent’anni fa, anche nel suo atteggiamento un po’ predatorio. Mi piacerebbe che Milano e i milanesi se la tirassero un po’ di meno, ma anche su questo i romani notoriamente non sono secondi a nessuno. Milano ha molto da imparare, ma oggi più che da Roma deve farlo dall’estero: da Berlino sulla gestione degli affitti, per esempio, da Barcellona sulle auto e da Londra sull’ambiente. 

Il luogo magico dove riflettere e ricaricare le pile?
Una passeggiata in via Rovani, forse la strada più bella di Milano: stretta, silenziosa, verdissima e con delle case meravigliose in cui sognare di abitare. Incrocia via Vincenzo Monti, una delle vie più eleganti della città.

Sappiamo che è difficile, ma se dovessi trovare un difetto a Milano quale sarebbe?
Togliete queste diavolo di macchine dai marciapiedi.

Milano negli ultimi 10 anni è cambiata molto e la sua corsa non sembra per ora destinata ad arrestarsi, anzi. Come pensi che cambierà nei prossimi 10?
Non è facile dirlo. Una cosa che ho imparato lavorando a questo reportage è che i percorsi delle città non sono mai lineari né scontati. Quello che sappiamo è che a Milano nei prossimi dieci anni succederanno cose importanti: azzeccarle può innescare grandi cambiamenti positivi, sbagliarle può creare enormi disastri. La riqualificazione degli scali ferroviari cambierà radicalmente sette pezzi importanti della città, e le Olimpiadi potenzialmente possono dare un’ultima e definitiva spinta al settore turistico (soprattutto dagli Stati Uniti: bisogna smontare il triangolo Roma-Firenze-Venezia nel quale secondo molti americani si esaurisce l’Italia). In tutto questo, i dati dicono che si trasferiranno in città tantissime persone – più che in qualsiasi altra città italiana – e il mercato degli affitti negli ultimi anni è già diventato davvero selvaggio. Insomma, ci sono evidentemente una montagna di opportunità ma anche una montagna di rischi. Non è scontato che le cose continuino ad andare bene, ci si mette un attimo a rovinare tutto: i prossimi dieci anni di Milano dipenderanno da quello che ne faremo. Noi, e le persone che voteremo perché se ne occupino.

Nel tuo reportage citi Montanelli: “Milanesi non si nasce, si diventa.”. Tu quando hai capito di essere diventato milanese?
Vivevo e lavoravo a Roma, prima di trasferirmi qui, e sono arrivato con entusiasmo e speranze rivolte più al lavoro che avrei fatto che alla città in cui avrei vissuto, come spesso accade. Eppure mi sono trovato bene da subito: ci ho messo poco a capire che questo era il posto che cercavo, almeno in Italia. D’altra parte le persone che una città è in grado di attrarre non sono mai completamente casuali: insomma, io sono venuto qui per fare Il Post, non perché avessi scelto Milano, ma una cosa come Il Post in Italia si può fare solo a Milano e questo doveva pur significare qualcosa. Ovviamente tutte queste cose sono in grado di metterle in ordine soltanto oggi, col senno di poi: più concretamente ricordo di una volta – credo più o meno un anno dopo il trasloco , quando tornando a Milano dopo le feste, salendo sulla metropolitana infreddolito e carico di borse, ho avvertito per la prima volta una sensazione inaspettata: la sensazione di essere arrivato a casa.

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2 commenti

Stefania 12/07/2019 - 1:13 pm

Mi ha fatto emozionare questa intervista, è come un tenero racconto su Milano ♥️

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Caterina Zanzi 15/07/2019 - 9:36 am

Ma Stefania! <3

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