I posti del cuore di Stefano Nazzi a Milano

Di Caterina Zanzi

Se di recente molte persone si sono appassionate a un certo tipo di crime, depurato da ogni vena sensazionalistica che spesso connota il filone, è anche per merito di Stefano Nazzi, che “fa il giornalista da tanti anni” e, dopo un lungo passato al servizio della cronaca nera, da diverso tempo collabora con Il Post, per cui si occupa di Indagini, uno dei podcast più ascoltati degli ultimi anni. Cresciuto a Milano, schivo e competentissimo, racconta a Conosco un posto il suo rapporto con la città, di cui si dice “innamorato”, la sua passione per la pizza e il gelato, i luoghi che più frequenta e quelli per un tour un po’ fuori dal consueto.

Stefano Nazzi intervista
Stefano Nazzi | © courtesy

Iniziamo dai fondamentali. Colazione, pranzo, aperitivo e cena: quattro posti a Milano?
Abitando in zona Sempione, uno dei bar pasticceria che preferisco per iniziare la giornata è I dolci Namura in via Castelvetro. Non solo per ragioni di comodità, visto che le brioche qui sono buonissime e i proprietari simpatici. È raro, invece, che pranzi fuori, mentre anche per l’aperitivo scelgo un altro posto del mio quartiere, la Librosteria di via Cesariano, anche se in tutta onestà tendo a frequentarlo più che altro nei (rari) momenti in cui non è preso d’assalto.
Per cena, invece, voglio fare il nome di un posto che ho scoperto da poco, Caffè del Lupo in via Albani.

Quindi non leggi Conosco un posto? (rido, ma non troppo ndr)
(Ride anche lui, ma non troppo ndr). Mi piace veramente un sacco [Caffé del Lupo]: si mangia un gran bene, ed è un posto in cui fare con calma, fuori dai percorsi abituali della Milano più frequentata. Anche il fatto che esteticamente sia essenziale, non mi disturba affatto.

Altri ‘puntelli’ gastronomici da segnalare?
Ho una grande passione per la pizza, e in particolare apprezzo tantissimo quella di Lievità. Anche il gelato mi tenta parecchio, specie quello di Pavè, davanti al Tribunale. E da portare a casa per una cena come si deve, i ravioli del Pastificio Bertoni di via Canonica, gestito da due cugini che hanno rilevato la storica attività dei genitori. E ancora Macelleria Sirtori, ma ci andavo più spesso prima che cambiasse un po’ lo stile.

Per mestiere ti occupi di indagini, appunto, e alcuni dei casi che hai trattato finora nel tuo podcast e nei tuoi libri hanno avuto come sfondo proprio Milano. Se volessimo immaginare un ‘tour’ milanese dedicato alla cronaca nera, quale potrebbe essere un giro sensato? 
Milano è stata la “capitale del crimine” negli anni 70 e 80 e, oltre a questo, è una città stracolma di luoghi legati a misfatti. Sarebbe sorprendente fare il tour delle bische clandestine dell’epoca di Francis Turatello: posti impensabili, appartamenti in affitto all’interno di palazzi qualsiasi, dove si giocava alla roulette o a chemin de fer e ne se succedevano di ogni. Proprio davanti alla Rai, per esempio, c’era un citofono “Club dei pittori” tramite cui si accedeva a una vera e propria bisca. E poi penso alla celebre bisca di Brera, a quella di via Savona e a quella all’aperto, all’Arena, dove ogni notte ci si ritrovava per giocare a dadi a soldi illuminati solo dai fari delle automobili. E ancora, ai locali – o meglio, i dancing – gestiti da Lello Liguori, re della notte milanese, e frequentati dalla malavita così come da imprenditori, giornalisti e attori. Chiuderei il tour al Carcere di San Vittore, dove nell’aprile del 1980 ci fu una grande fuga di 20 detenuti, tra cui Renato Vallanzasca (di cui racconta anche nel suo ultimo libro, Canti di guerra, ndr), e in Piazza Vetra, che a fino agli inizi degli anni 90 era un’area infrequentabile per via dello spaccio e della criminalità. Assurdo pensarci adesso.

Abiti a Milano praticamente da sempre: in cosa hai visto cambiare, apprezzandolo, la nostra città e a quale novità invece ti sei arreso a malincuore?
Milano è a tutti gli effetti una grande capitale europea, avanti in tutto quello che succede: apprezzo che sia così vivace e interessante. Ma, ahimè, oramai c’è la tendenza a mangiare e basta. Ogni 10 metri c’è un bar o un ristorante; solo per fare un esempio, Paolo Sarpi è diventato un luna park dello street food. Basterebbe anche meno.

Un’istituzione milanese a cui sei particolarmente legato, che ha resistito nel tempo e per cui fai il tifo?
Una grande istituzione per me è San Siro: non vorrei mai e poi mai che fosse abbattuto o sostituito.

Sappiamo bene che a Milano esiste solo una squadra…
Confermo. Ma al di là di questo è proprio uno stadio bellissimo, storico.

C’è invece un locale o un luogo che hanno chiuso e che ti dispiace “non ce l’abbia fatta?”. 
Per quanto riguarda luoghi simbolo spariti, senza dubbio voglio citare la prima ‘discoteca rock’ d’Italia, il Rolling Stone. E così tutti i locali che frequentavo da giovanissimo e a cui ero legato: il baretto di Sant’Eustorgio, il Pois e l’Odissea 2001.

C’è un posto dove riesci a lavorare al podcast che non sia casa tua o l’ufficio?
No, mi distraggo troppo e alla fine non combino nulla: lavoro da casa e basta.

Il quartiere a cui sei più affezionato e quello, invece, dove ti rechi solo se proprio necessario. 
Il quartiere a cui sono più affezionato è quello di Gambara, sconfinando verso San Siro, dove sono cresciuto e dove ho passato i primi 30 anni della mia vita: via Rembrandt e via Rubens sono terre di grandi ricordi. Ogni tanto torno a fare dei giri in moto per vedere come sono cambiate le cose, come è ora la casa in cui vivevo… Invece, non ho grandi quartieri a cui sono avverso, mi piacciono tutti: semplicemente, non ho molta attitudine a frequentare zone nuove tipo Citylife, o molto lontane rispetto a dove vivo, come Lambrate o Città Studi

Un grande pregio e un odioso difetto di Milano.   
Milano, come ti dicevo, intercetta tutto ciò che avviene in altre città d’Europa, e in questo secondo me risiede la sua forza maggiore; il grande difetto è che, anche per via dell’inquinamento, il cielo non è mai azzurro azzurro, ma quasi sempre opaco. E poi ci sono troppe macchine, troppe!

Dalle tue parole, comunque, Milano sembra proprio piacerti tanto…
Sì, assolutamente. A me Milano piace tantissimo, mi considero abbastanza innamorato.

C’è un luogo a Milano che ti ispira riflessione e intimità e dove magari ti rechi per stare un po’ con te stesso o prendere una decisione importante? 
Per nostalgia torno nella mia vecchia zona, oppure vado a fare un giro al Parco Sempione.

A quale città, straniera o italiana, vorresti rubare qualcosa per Milano?
Da New York ruberei l’atmosfera musicale, ma mi piacerebbe far arrivare qualcosa anche dalle bellezze di Parigi, Londra, Barcellona. Da ogni città si potrebbe prendere qualcosa, così come altre città potrebbero attingere da Milano, che alla fine a mio avviso non ha molto da invidiare ad altre capitali europee.

Il primo posto dove porteresti un tuo amico in visita?
Se gli volessi far capire subito come è Milano lo porterei in centro al sabato pomeriggio, per mostrargli come sia in grado di attirare gente da tutte le parti. Per un appuntamento più tranquillo, invece, sceglierei le strade di Brera al mattino prestissimo, quando non sono ancora troppo frequentate né occupate dall’odiosa pratica dei buttadentro dei suoi ristoranti.

Per mestiere scrivi e in qualche modo sei parte dell’élite culturale di questa città: ci sono luoghi legati alla cultura – musei, gallerie o teatri – che ti piace frequentare?
Oramai forse ci siamo abituati, ma la Pinacoteca di Brera o il Museo della scienza e della tecnica sono incredibili, così come le tante mostre che di continuo animano la vita culturale della nostra città. Per il cinema, invece, scelgo l’Anteo, ci vado spesso.

La gita fuori porta che consiglieresti per cambiare un po’ aria.
Mi piace andare a Morimondo, per via della sua abbazia – un posto strano che non sembra così vicino a Milano -, anche perché c’è un ristorante molto buono. In alternativa l’Oltrepò pavese, un altro luogo in cui sto un gran bene.

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